Transfert price: che cos’è e come funziona

Il mondo finanziario assiste alla nascita continua di nuovi prodotti, e quindi di nuovi termini, che apportano più confusione di quanto possa essere la chiarezza supposta. Negli ultimi tempi si è parlato di “trasfert price” facendo riferimento al prezzo pagato per una transazione tra società di un medesimo gruppo multinazionale o transnazionale.

Quindi in ogni transfer price c’è una transazione economica. La normativa statunitense in materia di transfer price prevede tre diverse opzioni da utilizzarsi in successione qualora la precedente non risulti sufficiente a consentire l’esatta determinazione del prezzo dei beni materiali. Le tre opzioni si possono definire nei seguenti tre metodi: prezzo di mercato, prezzo di rivendita e margine di ricavo. Qualora nessuno dei tre metodi indicato fosse sufficiente a raggiungere una buona certezza sul prezzo di un determinato prodotto, si ricorre al “profit split”, un metodo basato sulla ripartizione del profitto. Comunque a quantunque se ne voglia pensare, a parere dello scrivente, questo metodo pretende di disciplinare l’espressione di volontà delle parti contrattuali, annullando ogni autonomia operativa dei contraenti.

L’Internal Revenue System, per ovviare all’inconveniente sopra evidenziato, ha suggerito un nuovo metodo, l’A.P.A. (Advances pricing Agreement), la cui caratteristica essenziale è quella di un accordo bilaterale che vede da una parte l’impresa che vuole mettersi al riparo da eventuali obiezioni sul transfer pricing, e dall’altra l’autorità fiscale statunitense. Accettando l’A.P.A., le parti stabiliscono per un tempo predeterminato i prezzi da applicare ai trasferimenti dei prodotti fra aziende inserite in un gruppo multinazionale o transnazionale di imprese. Il metodo A.P.A. consente, quindi di superare problemi non semplici nella determinazione dei prezzi di trasferimento, anche se crea problemi alle imprese che si dedicano con maggior impegno allo sviluppo di nuove tecnologie. Proprio in conseguenza di queste considerazioni è necessario che, oltre ai criteri correnti per la definizione del prezzo del bene o del servizio, si utilizzino anche criteri alternativi in grado di tener conto anche dei fattori che vengono utilizzati nella produzione.

In Italia Le prime leggi dell’ordinamento che hanno disciplinato il trattamento fiscale del “transfer pricing” sono datate alla riforma tributaria attuata con i decreti delegati del 1973. L’art. 53, comma 5 del D.P.R. n° 597/1973 prevedeva tra i ricavi alla lettera b) “la differenza tra il valore normale dei beni e dei servizi e i corrispettivi delle cessioni e delle prestazioni effettuate a società, non aventi nel territorio dello Stato la sede legale o amminstrativa né l’oggetto principale, che controllano direttamente o indirettamente l’impresa o che sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa”. Inoltre, l’art. 56 stabiliva che “il costo di acquisizione dei beni ceduti e dei servizi prestati dalle società indicate alla lettera b) del quinto comma dell’art 53 è diminuito dell’eventuale eccedenza rispetto al valore normale. La disposizione si applica anche per i beni ceduti e i servizi prestati da società non aventi nel territorio dello Stato né la sede legale o amministrativa, né l’oggetto principale, per conto delle quali l’impresa esplica attività di vendita e collocamento di materie prime o merci o di fabbricazione o lavorazione di prodotti”.

La normativa basata su questo metodo prevede la possibilità di rettifica dei profitti da parte della impresa che ha effettuato l’operazione di trasferimento nella misura equivalente a quelli che si sarebbero realizzati se l’impresa avesse operato con un’impresa di altro gruppo, quindi a condizioni di libero mercato. Certamente nessuna normativa sul transfer pricing è riuscita a raggiungere l’obiettivo di dare alle imprese un criterio certo di valorizzazione delle transazioni internazionali. Anche il metodo Arm’s Lenght, considerato all’unanimità il più equo, comorta considerevoili difficoltà di applicazione pratica, non solo perché considera da parte dell’Amministrazione un atteggiamento obiettivo e senza pregiudizi, ma soprattutto perché non considera il significato commerciale della operazione.

In definitiva la selezione di un “prezzo di trasferimento” nelle società intergruppo rimane pur sempre una attività di business che non può essere sindacata da un’Amministrazione fiscale, perché altrimenti, l’Amministrazione fiscale della controparte potrebbe sindacare da parte sua il fatto di aver pagato un prezzo troppo alto proprio per ridurre l’imponibile fiscale. Inoltre, anche tra imprese apparteneti allo stesso gruppo vige la logica della massimizzazione del profitto, perché ogni azienda compila un bilancio proprio e risponde della sua efficienza.

Informazioni su Enrico Furia 1 Articolo
Professional Highlights Multilingual executive with experience in international finance, foreign investment, business development, negotiations, product planning, strategic planning, ICT, energy, academic and vocational teaching.

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