La storia incredibile di Alfredo Binda, quell’uomo solo all’attacco

Ogni volta che qualcuno sostiene che un uomo solo non può fare la differenza, bisognerebbe raccontargli la storia di Alfredo Binda, uno dei più grandi ciclisti di tutti i tempi. Forte in pianura e in salita, Binda correva quando Coppi e Bartali portavano ancora i calzoncini corti, quando le strade erano sterrate e il ciclismo era uno sport per uomini d’acciaio.

Nato in provincia di Varese, dal lunedì al venerdì faceva lo stuccatore per mantenere la famiglia e la domenica correva e vinceva: 5 Giri d’Italia, 3 Campionati del Mondo, 4 Giri di Lombardia e 2 Milano-Sanremo.

Una carriera straordinaria a cavallo delle due guerre, corse in Francia e in Italia, vinse su qualsiasi tipo di strada e in qualsiasi condizione meteorologica.

Era talmente forte che nel 1930 gli organizzatori del Giro d’Italia lo pagarono per restare a casa. Nel 1936 si ritirò per manifesta superiorità, diventò Commissario Tecnico della Nazionale Italiana di Ciclismo, che guidò per dodici anni portando al successo due giovani corridori che ne avrebbero fatta di strada: Fausto Coppi e Gino Bartali.

Binda è stato un campione d’altri tempi, quando per dirla alla De Gregori “si correva per rabbia o per amore”, quando il ciclismo era uno sport povero e i corridori dovevano lavorare per portare il pane a casa.

Una leggenda metropolitana narra che i piloti kamikaze giapponesi tenessero una foto di Alfredo Binda sulla plancia dei loro aerei prima di lanciarsi a picco sulle portaerei americane durante la seconda guerra mondiale. Che sia vero o meno, la dice tutta sulla fama di quell’uomo solo all’attacco, troppo forte per correre.

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