La scalata alla Generali e quello scontro tra finanza laica (Mediobanca) e cattolica (Intesa)

Una delle poche persone che il vecchio Enrico Cuccia, regista per oltre mezzo secolo di tutta la finanza italiana, non è mai riuscito a battere è un avvocato di Brescia, Giovanni Bazoli. Non aveva mai fatto il banchiere. Quando negli anni Ottanta il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi va a rotoli, nessuno si volle prendere quella grana sulle spalle.

Alla fine Nino Andreatta (ministro del Tesoro, allora) chiama in soccorso il suo vecchio amico Giovanni Bazoli. Bazoli accetta e rimette in piedi il vecchio Banco. Poi ingaggia una specie di duello rusticano con Cuccia per il possesso della Cassa di Risparmio delle province lombarde. Vince lui.

Quando Cuccia lo assedia in casa, si salva trovando un alleato improbabile, ma vero, il Crédit Agricole. E poi continua  lungo la sua strada.  Anno dopo anno, costruisce quella che oggi tutti conosciamo come  Banca Intesa San Paolo.

In realtà, il suo Banco avrebbe dovuto sposarsi con la Capitalia del suo amico Geronzi, si sono incontrati e hanno trattato per mesi, ma alla fine Capitalia è andata a Unicredit e Bazoli ha fatto squadra con la Banca San Paolo.

Adesso, a oltre trent’anni dalla guerra di spade con Cuccia per la Cassa di Risparmio, Bazoli (che va per gli 85 anni) e i suoi ragazzi di Banca Intesa tornano a incrociare il ferro con Mediobanca. E questa volta si tratta di assestare il colpo al cuore definitivo a quello che tutti abbiamo conosciuto come il tempio della finanza italiana. Gli uomini di Intesa sono scesi in guerra per conquistare le Generali. Una mossa mai tentata seriamente da nessuno.

Le Generali sono sempre state territorio di Mediobanca. Se uno voleva comprare azioni Generali in una certa quantità, e se era una persona intelligente, prima avvisava Mediobanca e cercava di ottenerne il gradimento, dopo comprava.

L’aspetto curioso è che tutto questo a Mediobanca è riuscito per anni e anni con un pacchetto azionario di Generali (dette anche Il Leone di Trieste) modestissimo, il 13 e qualcosa per cento.

Ma si era in piena era della regola principale di Cuccia: le azioni si pesano e non si contano. E quelle di Mediobanca, ovviamente, pesavano più di tutte le altre.

D’altra parte era giusto che fosse così. Cuccia aveva salvato più volte la Fiat, la Pirelli, aveva inventato, affossato, venduto e ricomprato la Montedison. E amava le compagnie assicurative (nel suo cuore, oltre alle Generali, anche la fiorentina Fondiaria). Non per ragioni sentimentali, ma perché le assicurazioni incassano ogni giorno premi a copertura di incidenti che forse non avverranno mai o molto più avanti. E quindi sono sempre ricche di soldi. Soldi che sono stati il perenne problema del capitalismo italiano, che non ne ha mai avuti.

Nel corso degli anni Cuccia e Mediobanca hanno usato le Generali come una loro cassaforte. Se capitava un intervento urgente da fare in un’azienda, bastava telefonare a Trieste, e i soldi arrivavano.

Già una ventina di anni fa, nella sede della compagnia a Trieste, dove si respira un’aria un po’ asburgica e dove i presidenti sono considerati un po’ come degli imperatori, qualcuno si era divertito a mettere su un plastico gli immobili che il Leone possedeva nel mondo: ne era uscita una città grande come Padova. Venti anni fa.

In più le Generali sono presenti quasi ovunque sul pianeta. Sono una vera multinazionale.

Solo che ormai Cuccia non c’è più, Mediobanca non è più la potenza a cui bastava alzare un sopracciglio per bloccare un’operazione, e così Bazoli (che ha appena battuto Mediobanca nell’affare del Corriere) è partito all’attacco.

Il disegno è più vasto di quello che si pensava e contempla di riunire Intesa e Generali in unico soggetto. Di fatto la nuova “cosa” sarebbe il terzo gruppo finanziario-assicurativo europeo. Un supergigante.

Con qualche problema di schieramento. Banca Intesa è controllata da tre fondazioni italiane (soggetti spregevoli dal punto di vista del mercato, ma utili in questo caso). A Mediobanca l’uomo forte è il solito Bolloré, che in passato ha giocato un ruolo pesante anche in Generali (è stato lui a consentire di Antoine Bernheim, suo amico e mentore, di fare il presidente del Leone).

In sostanza, se Mediobanca perde questa battaglia perde la faccia e anche la cassaforte. Se Intesa vince diventa una delle grandi protagoniste della finanza europea. La partita è questa.

Scattato l’attacco di Intesa (cioè di Bazoli), il Leone per difendersi ha acquistato il 3 per cento di Intesa, bloccando così ogni possibile scalata (in base alla legge).

Ma Bazoli ha subito tirato fuori un altro asso che aveva nella manica: scambiamoci le azioni, la cosa è interessante anche per voi, questo non è proibito. Quella che forse era partita come una scalata ostile, si sta trasformando in un affare fra amici. Forse.

Forse perché bisogna vedere fino a che punto il Leone può spingersi e cosa può avere ancora nascosto nelle sue maniche Bazoli, uno che non ha mai perso una battaglia e che ha legami ovunque e un’abilità diplomatica che non ha eguali.

La partita è davvero grande, probabilmente la più grande mai giocata in Italia. L’obiettivo è quello di far nascere un soggetto finanziario di dimensione europea. Per una volta protagonisti e non comprati e basta.

Giuseppe Turani
Informazioni su Giuseppe Turani 56 Articoli
Giornalista economico e Direttore di "Uomini & Business". E' stato vice direttore de L'Espresso e di Affari e Finanza, supplemento economico de La Repubblica. Dal 1990 al 1992 è editorialista del Corriere della Sera, del mensile Capital e dei settimanali L'Europeo e Il Mondo. Ha scritto 32 libri.

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*