Il petrolio, le FARC e le due “Colombie” divise alle elezioni

Domenica 17 giugno i colombiani saranno chiamati a scegliere il prossimo Presidente del paese. Al secondo turno delle elezioni presidenziali la sfida tra Duque, leader del partito conservatore Centro Democratico, e Petro, appoggiato da una coalizione di partiti di sinistra, non è semplicemente politica ma riflette una visione diametralmente differente sul futuro della Colombia.

Queste elezioni avranno forti ripercussioni sulla difficile transizione che il paese sta attraversando dopo lo storico accordo di pace con le Fuerzas Armadas de Colombia – Ejército del Pueblo (FARC-EP). Dopo cinquantadue anni di conflitto, la Colombia potrà sfruttare le opportunità di una maggiore stabilità politica per dare un nuovo impulso alla crescita industriale dei settori trainanti del paese.

Il petrolio e le FARC

Il petrolio è uno dei settori chiave dell’economia colombiana e rappresenta circa il 50% delle esportazioni del paese e il 7% del PIL nazionale. Dopo il boom petrolifero tra il 2007 e il 2015, quando la produzione nazionale crebbe del 52%, la Colombia sta attraversando un periodo di stagnazione. Il crollo del prezzo del petrolio nei mercati internazionali ha colpito duramente l’industria colombiana, facendo crollare il volume degli investimenti e di conseguenza il numero di nuove esplorazioni. Tra il 2015 e il 2016, la produzione è scesa del 12 percento e le riserve del 16.8 percento. Secondo alcune stime ufficiali, la Colombia perderà la sua indipendenza energica nel 2021.

Il disarmo delle FARC potrebbe essere un fattore positivo per incentivare un incremento di investimenti nel settore petrolifero. Le multinazionali straniere e le grandi aziende colombiane del petrolio sono state storicamente un obiettivo strategico degli attacchi terroristici delle FARC. Dal 1980 circa 4.1 milioni barili di petrolio sono stati persi a causa degli attentati delle FARC. Tra il 1986 e il 2014, i sabotaggi delle FARC e degli altri gruppi rivoluzionari hanno costretto gli oleodotti alla chiusura per 3.701 giorni, causando danni economi rilevanti: $355 milioni per le riparazioni e una perdita di circa $276 milioni per il petrolio fuoruscito. La cornice di maggior sicurezza ha già stimolato il volume di investimenti esteri che, nel 2018, dovrebbe registrare un incremento del 30%-40% rispetto al 2017.

L’incertezza sulla sicurezza persiste

L’Ejército de Liberaciòn Nacional (ELN), gruppo rivoluzionario marxista, rimane attivo nel paese e continua a minacciare l’integrità degli oleodotti. Le ELN hanno colpito le reti petrolifere 29 volte nel 2015 e 42 nel 2016. Gli attacchi sono stati pesanti. Cano Lémon, uno degli oleodotti più importanti del paese, è stato chiuso per sei settimane a causa dei danni subiti.

Le trattative di pace tra il governo di Santos, il presidente uscente, e le ELN non sono state pienamente fruttuose, lasciando al prossimo Presidente l’arduo compito di trovare una mediazione definitiva con il gruppo ribelle. Nonostante il portavoce delle ELN abbia dichiarato di essere pronto a dialogare con entrambi i candidati, è innegabile che le posizioni di Petro e Duque siano discordanti. Mentre Petro sostiene apertamente la necessità di consolidare il processo di pacificazione con le ELN seguendo il modello di pace raggiunto con le FARC, Duque non ha nascosto la sua volontà di modificare alcune clausole del trattato dell’Avana imponendo ad entrambi i gruppi ribelli delle condizioni più dure.

L’eredità di Santos

Il governo di Santos ha cercato di stimolare la crescita del settore petrolifero attraverso sia una semplificazione delle procedure burocratiche per la concessione di nuove licenze esplorative sia con una politica di benefici fiscali per la trivellazione offshore in alcune zone speciali dei mari caraibici. Ma la riforma più contestata di Santos è stata la centralizzazione delle royalties sul petrolio che avrebbe dovuto mitigare i fenomeni della corruzione e dello sperpero di risorse che sarebbero avvenuti a livello locale.

Prima della nuova legge, una quota significativa delle royalties era destinata alle regioni direttamente coinvolte nella catena produttiva del petrolio. La riforma ha invece ridotto drasticamente la quota percepita dalle regioni e imposto criteri più rigidi sul come investire le rendite delle royalties a livello locale. Per le regioni colombiane le conseguenze economiche sono state rilevanti. Per esempio, nel 2011 la regione di Aruca ottenne $300 milioni in royalties, nel 2012, sotto la nuova legge, ricevette solo $120 milioni.

Le nuove disposizioni hanno però incrementato la distanza tra la popolazione contadina colombiana e le compagnie petrolifere. Nel 2017, il comune di Cumaral ha tenuto il primo referendum per vietare nuove esplorazioni e trivellazioni nel territorio comunale, più di quaranta comuni hanno poi programmato un referendum simile nei mesi e anni successivi. L’ostilità delle comunità locali non deve essere semplificata ad una opposizione ideologica ma deve essere inquadrata in una struttura socio-economica in cui i contadini temono di perdere l’accesso all’acqua e in cui l’industria petrolifera offre ben pochi vantaggi lavorativi.

Duque e Petro, due visioni, due “Colombie”

Il petrolio, simbolo dell’economia colombiana, divide i due candidati. Per Duque la Colombia non ha sfruttato appieno le sue risorse petrolifere e avrebbe il potenziale per incrementare esponenzialmente la produzione. Il governo centrale dovrebbe investire nelle infrastrutture per ridurre i costi di trasporto del petrolio dai siti convenzionali e dovrebbe incentivare lo sfruttamento delle risorse offshore. Per armonizzare l’equilibrio tra le comunità e le compagnie petrolifere, Duque propone di riformare il sistema delle royalties con una distribuzione 50%-50% delle rendite tra regioni e stato colombiano.

Petro invece crede nella necessità di cambiare radicalmente il modello economico estrattivo del paese. La Colombia dovrebbe infatti ridurre la sua dipendenza dalle esportazioni di idrocarburi e carbone per diversificare l’industria locale del paese, in particolare, ci dovrebbe essere una evoluzione verso un’economia agro-alimentare di esportazione. Dovrebbe avvenire contemporaneamente una transizione energetica che porti la Colombia ad investire ingenti risorse economiche nello sviluppo delle energie rinnovabili. Durante la campagna elettorale, Petro ha anche dichiarato che Ecopetrol, il gigante colombiano del petrolio all’88% di controllo pubblico, verrà convertita alla fine della transizione in azienda che ricerca e sviluppa tecnologie per lo sfruttamento delle energie rinnovabili.

Petro e Duque riflettono due visioni della Colombia contrastanti. Il futuro del paese passa dalle elezioni di domenica, che potrebbero veramente cambiare il volto della Colombia.

Nicolo Sartori
Informazioni su Nicolo Sartori 58 Articoli
Nicolò Sartori è senior fellow e responsabile del Programma Energia dello IAI (Istituto Affari Internazionali), dove coordina progetti sui temi della sicurezza energetica, con particolare attenzione sulla dimensione esterna della politica energetica italiana ed europea.. La sua attività si concentra in particolare sull’evoluzione delle tecnologie nel settore energetico. Ha lavorato inoltre come Consulente di Facoltà al NATO Defense College di Roma, dove ha svolto ricerche sul ruolo dell’Alleanza Atlantica nelle questioni di sicurezza energetica.

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*